Interazione Persona-Computer: Si Salvi Chi Può

*** Traduzione riassuntiva della versione originale in spagnolo ***

 

Introduzione

Le innovazioni del settore tecnologico, grazie al chip, hanno rivoluzionato la comunicazione tra esseri umani e nuove tecnologie. Molte delle scienze formali e fattiche sono confluite e hanno trovato un territorio di intersezione grazie al calcolatore. Il risultato di tutto ciò è l’interazione persona-calcolatore o ordinatore (in base al luogo di provenienza del lettore spagnolo), ciò che in inglese è definito human-computer interaction. Di conseguenza utilizzeremo indistintamente nel testo le sigle IPC (Interazione Persona-Computer) o HCI (Human-Computer Interaction).


Gli antecedenti internazionali

Alla fine del 1960 si prevedeva già che nel futuro non ci sarebbe stato bisogno di persone orientate al calcolatore, bensì il calcolatore orientato alle persone. Col passare degli anni si affermò questa visione. Fu così che Ivan Sutherland (inventore della prima interfaccia basata su finestre) e Douglas Engelbart (inventore del mouse) iniziarono a disegnare negli anni ’60 sistemi speciali per gli schermi dei calcolatori simulando la complessità grafica dei documenti stampati. Ciò significa che c’era un adattamento dinamico dei caratteri negli schermi a raggi catodici, con cui il calcolatore superava i limiti della carta.

Con la diffusione del PC di IBM, gli utenti si moltiplicarono diventando milioni in brevissimo tempo. Ovviamente alcune discipline delle scienze sociali furono immerse in grandi progetti per far sì che questi nuovi strumenti di lavoro si adattassero alle persone, nel minor tempo possibile e con costi contenuti. La medicina, la psicologia, la sociologia, la comunicazione sociale, tra le altre aree del sapere permisero un migliore adattamento e interazione del calcolatore alla persona, all’interno dei più svariati ambienti di lavoro. Riguardo a ciò, l’ampio spettro dei potenziali utenti fece in modo che l’industria del software e dell’hardware investisse ingenti somme di denaro nella creazione di laboratori per esaminare inizialmente l’uso dei calcolatori da parte di un insieme eterogeneo di utenti.

L’informatica continuava ad avanzare a passi da gigante con i sistemi ipertestuali, multimediali, ipermediali (on-line e off-line), l’esplosione di Internet, l’introduzione della realtà virtuale, ecc. Molti studiosi cominciarono a collaborare in questo contesto: Carroll, Campbell, Collins, Laurel, Landow, Marcus, Marshall, Minsky, Moles, Myers, Negroponte, Nelson, Norman, Searle, Shneiderman, Tognazzini, Vicente, tra gli altri. Nasceva nel 1990 l’ingegneria dell’usabilità di Jakob Nielsen (www.useit.com). Una volta superata la fase dell’apprendimento dell’uso (usabilità) del PC e con l’arrivo del nuovo millennio, si entra appieno nella comunicazione qualitativa tra utenti, dove il comunicatore sociale ha un ruolo prioritario nonostante sia matematicamente escluso da certi gruppi di pressione che sfortunatamente stanno attraversando l’Atlantico verso il nuovo mondo.

Da questi laboratori di IPC si impostava la necessità del lavoro interdisciplinare tra i suoi costituenti. Ovviamente un fatto molto positivo per la diffusione dell’informatica a livello planetario. Tuttavia, in alcuni casi dell’interazione si ponderò maggiormente l’aspetto grafico, ossia, le interfacce. Automaticamente in numerosi centri di informatica grafica si vide un nuovo campo per fare affari, camuffandosi da strutture universitarie e agendo con le medesime tecniche del Ku Klux Klan, verso tutti quelli che non erano oriundi di quella regione. Altri hanno saputo mascherare questa xenofobia e sotto lo slogan “produttore di idee”, ora stanno viaggiando costantemente in Cile e altri paesi latinoamericani, a spese delle tasse dei latinoamericani o europei, portando con sé una valigia piena di plagi o bidoni. Poveri quegli studenti che assistono a tali officine o seminari, poichè sono vittime nella loro stessa casa, di un assalto mascherato da parte dei fiammanti pirati del XXI secolo.

La verità eclissata

In vari centri universitari spagnoli pubblici e privati sono state introdotte alcune materie che avevano a che fare con IPC, a partire dal 1991, i cui titoli erano: interfacce utente, comunicazione uomo-macchina, programmazione di ambienti interattivi, sistemi di interazione persona-calcolatore, design di interfacce utente, ecc. Da questi nomi si può constatare che il tema girava intorno al multimedia (termine che ha una forte connotazione mercantilistica per i casini causati da certi personaggi nefasti) o ipermedia, realtà virtuale, disegno grafico, per citare solo alcuni esempi. Nel 99% dei casi si trattava di materie complementari, ossia, lo studente poteva o meno includerle nel proprio programma. Il motivo era che nessuno si era preoccupato di dare un’entità propria alla tematica come successe negli anni 1997-1999 all’Università Ramón Llull con la creazione del primo laboratorio di Human-Computer Interaction - HCI Lab. a Barcellona (Spagna), da cui si crearono le basi per materie quali: introduzione all’interazione uomo-macchina, ingegneria dell’usabilità, modelli di disegno nei sistemi multimedia, media dinamici e statici nei sistemi multimediali, produzione multimediale, programmazione ipermediale, computer animation. Tutte queste materie incluse nell’ingegneria in multimedia (a volte, l’ambito più logico per quest’area della conoscenza, in questi settori).

Altri invece vogliono cambiare la storia per dire che i loro studi, che in questi settori non hanno niente a che vedere con ciò che è realmente conosciuto come interazione persona-calcolatore, furono i primi, ma in realtà i loro lavori sono orientati all’ambito delle scienze formali e non a quelle fatiche. Tuttavia nel laboratorio di HCI dell’Università Ramón Llull, ci fu un’autentica intersezione di queste due scienze. Qui sta la grande differenza e il motivo per cui ancor oggi abbiamo a che fare con individui che ad esempio presentano il disegno centrato sull’utente come qualcosa di proprio o originale, quando in Canada, USA, Giappone, tra gli altri paesi, questo tema si studia da anni. Sorprendentemente i mascalzoni non hanno capito che non si può celare il sole o la luce della verità con un dito.

Le prime atrocità in nome della IPC

Visto l’ampio ventaglio di discipline scientifiche incluse nella IPC, a causa dell’uso del calcolatore, molti studi sono interazioni di altre aree del sapere e vengono rappresentati come l’intersezione di vari cerchi, nel cui punto centrale teoricamente starebbe l’originalità del lavoro, però i quasi tutti i casi che una ridondanza e perciò sparisce questa supposta originalità.

Nei giorni nostri, sono sorti gli inventori della famosa “zuppa d’aglio”. L’esempio più evidente è l’”ingegneria della semiotica” applicata alla IPC. Sorprendentemente l’origine di tale sproposito scientifico è localizzata in Brasile, e più precisamente a Rio de Janeiro. Mi vengono alla mente i commenti ricevuti da un collega brasiliano, Edgard Rebouças, nel 2002 sulla base dell’articolo pubblicato nel numero 80 di Chasqui “Sin rumbo en la informática” quando mi diceva “A Europa é aquí!”. Effettivamente si cuoce un cattivo stufato in tale centro di insegnamento, quando si parla di educazione universitaria.

Non si capisce se i mentori di tale calamità per il settore scientifico conoscono l’espressione “epistemologia della scienza”, che si può studiare o perlomeno consultare nei trattati di prestigiosi studiosi come Mario Bunge e Ezequiel Ander-Egg. Dire che la semiotica è un’ingegneria lascia sbalorditi gli editori di libri di semiotica o semiologia, gli autori di tali libri: Barthes, Eco, Jakobson, Kristeva, Morris, Peirce, Verón – tra gli altri -, i docenti e la maggior parte degli studenti o persone interessate a quest’area del sapere scientifico. L’origine di tale scemenza è da ricercare nel marketing cannibalesco che si fa dell’insegnamento. Ossia, è un modo di spezzare l’ordine prestabilito, ovviamente con scopi molto ambiziosi d parte di chi sostiene queste stupidaggini, come si vedrà più avanti.

Un’altra atrocità intellettuale è il plagio, praticato da quel vertice geografico che abbiamo citato all’inizio. Se ci rimettiamo al dizionario della Real Academia Española, la definizione di plagiare è: “copiare nella sostanza opere altrui spacciandole per proprie”. Poco importa se gli autori del lavoro possiedono il numero di proprietà intellettuale, o sono iscritti a enti che in teoria vegliano sull’operato di tali delinquenti del sapere. Ingiustamente il processo legale per smascherarli è costoso e richiede molto tempo. Intanto il personaggio corrotto (che può persino essere lo stesso presidente di associazioni affini alla presente tematica), sfrutta i viaggi e i soggiorni internazionali per presentare in congressi, seminari, ecc tutto ciò che non gli appartiene. Molte volte questi risultati sono frutto di anni di studi realizzati da altre persone, senza alcun tipo di aiuto economico, e la reale autorialità di questi sforzi viene poi negata dal mascalzone.

Col passare del tempo, questo disonesto stabilisce nuovi legami con altri studiosi internazionali, dato che lo stesso si presenta come “il re del mambo” del paese a cui appartiene. Tutto ciò è conseguenza della burocrazia legale necessaria per denunciare la pirateria e come dice il vecchio proverbio spagnolo, “che gli si tolga il ballato” al plagiatore, mentre l’autore o gli autori attendono che si faccia giustizia. Basti vedere quel grugno di cemento armato che mostrano nelle pagine web (sempre sorridenti, per non dire beffardi, nel miglior stile delle iene). Sono questi personaggi che demotivano fortemente il futuro delle nuove generazioni di ricercatori nel vecchio continente. La cosa peggiore è che tutto questo accade in paesi europei, che hanno una perenne immunità verso tali casini e questo male non ha cura, essendo una presa in giro impressionante per i contribuenti, dato che si è esteso nel continente americano, come si vedrà più avanti.

Il potere senza il sapere

La mancanza di creatività si relaziona con la problematica precedente, è una risposta automatica al fatto che questi individui occupino posti grazie a certi protettori che naturalmente sono localizzati in un medesimo posto. Vediamo, un ingegnere in telecomunicazioni che scrive nel suo curriculum vitae che è ingegnere in comunicazioni (versione inglese) come se non esistesse la parola “tele” in inglese. L’origine di questa vile menzogna sta nel fatto che non ha la formazione umanistica adeguata per portare avanti certe tematiche proprie della IPC, ed è così che ci troviamo di fronte a questa bestialità chiamata ingegneria della semiotica, per fare un esempio.

È chiaro che dato che l’ambito dell’interazione persona-calcolatore è molto ampio, si presenterà al resto dei mortali come “super esperto” in archeologia, patrimonio culturale, psicologia, disegno grafico, editoria digitale, libri elettronici, ecc. In poche parole, ci troviamo di fronte a autentici fanfaroni, certo, con una formazione in matematica, fisica, ecc., ossia, l’ambito delle scienze formali ma non delle scienze sociali. Qui sta il grande tallone d’Achille della IPC, ma dato che ha la benedizione dei padrini, “non c’è problema”, come direbbe il famoso personaggio televisivo “Alf”.

La mania del perpetuarsi nella presidenza in alcune associazioni legate al contesto educativo denota la mancanza di democrazia e i modelli ereditati da certi politici nazionalisti. Alcuni di essi hanno creato una specie di razza pura o superiore, nei circoli culturali e estendibile al resto della società, tramite i mezzi di comunicazione di massa, con data di nascita nel 1990. il termine presidente, ci porta direttamente nella storia recente di uno dei vicerè iberici che governò per circa un quarto di secolo, un territorio con quasi sei milioni di abitanti. Ovunque andasse, ripeteva costantemente lo slogan: “Noi siamo sei milioni”. Finché andò in Cina e un funzionario cinese sussurrando ad un compatriota disse: “in quale hotel verranno ospitati”. Effettivamente, in alcuni ambiti geografici persiste questo virus del “presidente” e questa ossessione di perpetuarsi al potere. Urge attivare gli autentici meccanismi democratici alle basi elle piramidi di queste associazioni per evitare che muoia di caldo il resto degli scientifici intoccabili e rispettabili.

La poltrona nella cuspide del potere perdona la carenza di formazione e esperienza previa nella materia che ci occupa. Non importa se prima di prendere possesso dell’incarico, i rappresentanti di questo gruppo del sapere umano hanno sviluppato un’attività estranea a quella che rappresenteranno. Perciò non sorprende assolutamente che nell’Europa del nuovo millennio ci sia una crisi profonda nel settore produttivo, a causa del fatto che i suoi dirigenti non sono pronti ad affrontare cambiamenti o nuove sfide in forma immediata. Ad esempio, l’allarme scattato nell’industria tessile europea un decennio fa, rende evidente che i suoi dirigenti o capi generali, dopo aver ottenuto i loro titoli universitari in centri di formazione privati, con un’età media che oscilla tra 45-55 anni, e nonostante occupino alte cariche nelle associazioni affini, non hanno la minima idea di cosa si deve fare di fronte a tale congiuntura.

Perciò, il racconto cinese che si ventila a destra e a manca attraverso alcuni gruppi della IPO, la quale permette di potenziare i prodotti industriali, ci porta a formulare la seguente domanda retorica a chi afferma tale sciocchezza: questi conoscono la media delle fabbriche o industrie che quotidianamente stanno chiudendo nell’Unione Europea e impiantando nuove sedi nei paesi asiatici e/o l’est-europeo? Naturalmente non ne hanno la minima idea, poiché si tratta di questioni economiche con gravi conseguenze sociali, in cui l’interazione persona-calcolatore non può fare quasi nulla a questo proposito. Ciò che sorprende è che queste sentenze vengano emesse da ex studenti di scuole industriali in università politecniche.

Pirati ovunque

Fino a poco tempo fa gli impresentabili della IPC si muovevano nel loro ghetto di califfi, ma iniziarono a delirare perchè ricevevano visitatori da Brasile, Bolivia, Cile, Colombia, Messico, ecc. Allora trovarono un altro modo di fare affari, ossia, aprire filiali della corruzione in America Latina. Tutto comincia coi famosi congressi. Per questi, si valgono di alcuni docenti latinoamericani che quando arrivano in Europa si adeguano al bere vino, fare apertivi, visitare monumenti, criticare aspramente il loro paese d’origine, ecc. Una forma di pagamento di questa supposta cortesia agli anfitrioni pirati consiste nello scambio di software sviluppato negli ambienti universitari dell’America Latina (il che significa molte ore di analisi, programmazione e sviluppo di algoritmi a costo zero, ad esempio). Poi i corrotti lo tradurranno nella lingua della regione, cambieranno l’interfaccia, faranno un paio di modifiche, e passeranno la fattura all’Unione Europea spacciandolo per un progetto realizzato al 100% in un dipartimento universitario del vecchio continente (il che implica a volte milioni di euro per le tasche dei pirati). In seguito, pubblicheranno questi risultati come propri nei congressi internazionali, voleranno per il mondo dicendo che stanno sviluppando una tecnologia di punta.

Orbene, in America Latina sono già sbarcati i pirati del nuovo millennio, ma non sono andati a Haiti, Nicaragua o Honduras, ad esempio. Hanno selezionato i paesi di moda, economicamente parlando, essendo il Messico o il Cile le mete preferite per realizzare questo pseudo trasferimento di tecnologia, formazione, scambi culturali, convegni tra università, ecc. Tutto questo è una mera cortina di fumo. Vogliono praticare il neocolonialismo selvaggio. Molti lettori penseranno che questo capita perchè sono in America Latina, ma non è così.

È necessario che i centri universitari pubblici del nuovo mondo intraprendano severe misure in merito a ciò, dato che c’è in gioco il futuro delle nuove generazioni di professionisti e di tutta la comunità. Con quelle istituzioni educative private, poco o niente si può fare, perchè esse fanno ciò che meglio credono. Per quanto riguarda i docenti latinoamericani che si prestano a questo vile gioco, che pensino alla loro gioventù, e se oggi hanno studenti eccellenti, è perchè molti di loro provengono da famiglie che fanno grandi sforzi economici per vedere i loro figli con un titolo universitario. Anziché regalare ai pirati il grande sacrificio di tutte queste persone in cambio di viaggi in giro per l’Europa, che si ricordino che esiste anche il turismo virtuale in Internet.

Infine, per quei lettori a cui possa interessare la tematica presentata, alcuni indirizzi da consultare: www.acm.org/sigchi, www.acm.org/sigmm, www.amanda.com, www.media.mit/edu, www.nngroup.com.

Concludendo …

Con la nuova filosofia dei calcolatori quantum, che risolveranno i problemi in un’unica volta, senza più seguire una sequenza di compiti come fanno gli attuali calcolatori digitali, ci troveremo di fronte all’ennesima rivoluzione per gli utenti e ricercatori di tutto il pianeta. Di nuovo gli autentici scienziati dell’interazione persona-calcolatore avranno davanti a sé nuove sfide di proporzioni incalcolabili e richiederanno l’intersezione delle scienze fatiche e formali per ottenere i migliori risultati possibili. Fortunatamente ancora ci sono persone oneste nell’ambito della IPO però è necessario delimitare e allontanarsi da questo sinistro triangolo delle Bermuda, per lanciare un chiaro segnale di SOS verso i pirati corrotti del nuovo millennio, per il bene comune di milioni di persone su entrambi i lati dell’oceano Atlantico.

Ficarra


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